Secondo l’Area Studi Mediobanca, che in occasione della terza edizione dell’Annual Fashion Talk ha presentato il nuovo report sul Sistema Moda, circa il 90% degli 80 maggiori player mondiali della moda (con un giro d’affari superiore al miliardo di euro) ha una sezione nel proprio sito web dedicata alla sostenibilità economica, ambientale o sociale; questa pratica è più comune per i gruppi statunitensi (93%) rispetto a quelli europei (84%). Le parti si ribaltano se si prende in considerazione la pubblicazione dei Sustainability Report, conosciuti anche come Social Responsibility Report o Non-Financial Statement, dove le aziende europee battono le statunitensi con una percentuale del 76% contro il 59%: in questi report gli elementi maggiormente analizzati sono quelli che riguardano tre criteri: environment, social e governance.

Considerando le questioni strettamente legate all’ambiente, l’analisi dei bilanci di sostenibilità 2019 ha fatto emergere come siano diminuiti i consumi idrici (-3,4%), le emissioni di Co2 (-5,1%), i rifiuti prodotti (-3,1%) e sia aumentato il ricorso all’energia elettrica rinnovabile (dal 42,6% nel 2018 al 49,9% nel 2019). In generale, l’analisi ha sottolineato che sono “mediamente più sostenibili i gruppi statunitensi rispetto a quelli europei”, tranne che per un solo indicatore, quello dell’utilizzo di energia rinnovabile, per il quale i gruppi europei si posizionano meglio degli statunitensi, attingendo da fonti green il 59% del proprio fabbisogno energetico rispetto al 38% degli americani.

Un altro fattore emerso è la provenienza dei fornitori dei maggiori player mondiali del fashion, che sono localizzati per il 63% in Asia, per il 28% in Europa e per il 5% in Nord America, con punte di oltre il 90% in Asia per il fast fashion e l’abbigliamento e calzature sportive. Per quanto riguarda la filiera italiana, mediamente oltre un quarto dei fornitori dei gruppi europei della moda ha sede in Italia, con punte oltre l’80% nella fascia alta del mercato.

Dall’analisi della varietà di genere nei board delle 80 multinazionali emerge anche che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità in azienda: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 65,9 % e scende al 29,3% a livello di cda. I gruppi Usa hanno più consiglieri donna (34,1%) rispetto a quelli europei (27,9%), con i player francesi e britannici in pole position grazie a una quota di donne presenti nei cda pari rispettivamente al 43,1% e 36,9%, mentre i gruppi italiani si fermano al 21,3%. L’analisi ha infine evidenziato che in media il 41% degli impiegati ha meno di 30 anni, il 48% è tra i 30-50 mentre l’11% è over 50. Le aziende statunitensi contano un numero di impiegati giovani, e quindi sotto i 30, superiore alla media, con un valore del 46%, mentre quelli tra i 30-50 sono al 44%.